In Italia si sta male. Ulcera post prandiale
Caffetteria degli studenti al RoSe, si parla di varie cose con uno di quei bibliotecari gentili di cui vi parlavo, italiano, appena trentenne, ciarliero come quelli che vengono dal Granducato.
“Perché quando parli con gli stranieri e ti dicono Ah, che bella l'Italia! Il sole, il mare, il cibo! Tu lì per lì ti dici che sono superficiali. Poi quando sei all'estero ti accorgi che le uniche cose che ti mancano sono proprio quelle, perché tutto il resto all'estero è meglio... Quando ho qualche momento di nostalgia è quello che mi manca, il mangiare o il lungomare, non dico mai Quanto mi manca quel treno o Quanto mi manca l'ufficio postale...”
Il che è vero e lo è ancora di più alla luce di questi ultimi dieci drammatici giorni in cui ogni giorno capitava qualcosa, in quel maledetto stivale appeso qua sotto. Però io mi ci incazzo e non perché non so per quanto ancora starò all'estero, in biblioteche efficienti e riscaldate, aspettando il tram al massimo cinque minuti, vedendo attorno a me cosa vuol dire sicurezza sociale. Io mi incazzo perché non ce la faccio a pensare che ci meritavamo tutto questo, anche se forse è così.
Io non la vedo mica una via d'uscita.